Il Fronte Polisario, movimento costituitosi nel 1973 per combattere il colonialismo spagnolo, si è trovato ad organizzare la popolazione in fuga mentre cercava di resistere all’invasione degli eserciti marocchino e mauritano.
La Mauritania ha ben presto dovuto abbandonare l’impresa e nel 1979 il Marocco ha invaso interamente il Sahara Occidentale. Per difendere i ricchi territori costieri dalle incursioni saharawi l’allora re del Marocco, Hassan II, ha fatto costruire una catena di muri di sabbia, filo spinato e mine che attualmente dividono il Sahara Occidentale da nord a sud.
Già nel lontano 1966 con la risoluzione 2229, l’assemblea generale dell’Onu chiese alla Spagna di organizzare un referendum nel Sahara Occidentale per permettere alla popolazione autoctona di esercitare il diritto all’autodeterminazione. Altre sei risoluzioni simili seguiranno fino al 1973. Il referendum ha l’obiettivo di permettere al popolo Saharawi di scegliere liberamente l’integrazione al Marocco o l’indipendenza.
La svolta sostanziale si ha nel 1988 con l’accordo internazionale favorevole all’autodeterminazione di popoli e minoranze. Tutto rimane più o meno paralizzato fino al 1991, quando il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, approva la risoluzione 690 che mette in moto la macchina del referendum. Si dà il via alle operazioni preliminari e in particolare, all’istituzione della “Missione Internazionale delle Nazioni Unite per il referendum del Sahara Occidentale” detta MINURSO; la missione ha come scopo principale quello di individuare e censire le persone aventi diritto al voto.
A partire dal settembre 1991 avrebbe dovuto mettersi in funzione il meccanismo per attuare il tanto sospirato referendum. Purtroppo ancora alla fine del 1996 il Marocco aveva di fatto occupato tutto il territorio del Sahara Occidentale in totale contrasto con le delibere dell’ONU, e il referendum era ancora molto lontano.